Il cerchio

All’inizio delle sessioni di lavoro che conduco – si tratti di un laboratorio, di prove, della preparazione ad uno spettacolo… – si comincia con un cerchio.
Gli attori cioè si siedono in cerchio. Si vedono, si ascoltano. Sono esposti.

Nel cerchio io sono libero di dire quello che voglio.
Nessuno mi interromperà e tutti ascolteranno senza commentare.
Mi servirà comunque partire da “come mi sento”, allenarmi a trovare le parole per spiegare, elaborare, dare forma a quello che mi attraversa. Verrà naturale agganciare come mi sento a una storia – è l’essere vivo, il mio percorso di vita che mi fa “sentire” – e io valuterò se e come usarla.
Il cerchio è infatti lo spazio della condivisione, mentre il palcoscenico è lo spazio della narrazione.
Il cerchio serve a presentare gli attori e i “personaggi” della serata.
Gli attori hanno un nome: sono Lorenzo, Geneviève, Roberto etc., ma i “personaggi” sono “triste”, “allegro”, “confuso”, “arrabbiato” etc. Infatti Lorenzo, Geneviève, Roberto etc. interpretano quei personaggi in modo personale e ogni volta diverso.
I personaggi parlano con un ritmo, usano le pause, gli occhi, il proprio fisico in modo coerente al proprio modo di sentire. Io, quando ne sono pubblico, osservo, ascolto e… imparo: i miei compagni di cerchio mi offrono elementi da riconoscere, da ricordare, da usare quando a me toccherà il loro stesso personaggio.
Nel cerchio posso parlare tanto o poco, non c’è una regola, né forzature necessarie («lei ha parlato tanto, devo parlare anch’io tanto…»). In generale sarò sensibile al mio pubblico – i miei compagni di lavoro… – e parlerò per quello che ha senso, non di più, non di meno.
Tutti alla fine avranno avuto un’occasione di espressione in libertà.
Tutti sapranno che cosa aspettarsi dai propri compagni per il lavoro insieme.
Tutti si partirà dallo stesso punto.

Come si parla in cerchio?
Parlo di me, quindi parlo nell'”io”. Se alludo ai presenti li menzionerò sempre per nome e in terza persona, mai con il “tu” o il “lui…”, che aprirebbero la porta ad una interlocuzione o alla sensazione di essere trascinati proprio malgrado nei discorsi.

Nel cerchio il facilitatore ha un ruolo diverso dagli altri: c’è chi interpreta il ruolo semplicemente dando la parola ai diversi membri, c’è chi fa una breve lettura che ispiri una riflessioni e orienti la condivisione, chi offre un breve grounding, un esercizio che consenta ai presenti di sintonizzarsi con se stessi e mettere a fuoco con maggior chiarezza come ci si sente.
Durante la condivisione è possibile che il facilitatore senta l’opportunità di una breve domanda: l’intenzione è quella di aiutare l’esposizione e la chiarezza della stessa, mai quella di orientarla. O, se la condivisione lo richiede, potrà far capire a chi parla l’opportunità di andare a chiudere.

A chiusura della sessione di lavoro il cerchio si riunisce nuovamente. Adesso c’è un’esperienza condivisa che avrà fatto evolvere il sentire delle persone, che potranno brevemente condividere le sensazioni, i dubbi, il sentire di tutti, chiudendo il lavoro in trasparenza.

Fare l’esperienza del cerchio fa sentire bene.