Dire “sì”

A fare i conti con il solo “sì”, ci si rende conto presto di quanto il “no” sia uno spazio in cui spesso ci si rifugia.
Nei laboratori di improvvisazione teatrale che conduco arriva puntualissimo il momento in cui si deve fare i conti con quello che si vorrebbe succedesse e, viceversa, con quello che, volente o nolente, si deve affrontare. È così nella vita, in quella vita in cui non si può che improvvisare; ed è, al contempo, una legge dello spettacolo.

Chi ha familiarità con la figura del clown sa come il cosiddetto Augusto – il clown buffo con le braghe larghe, le scarpe sfondate e il naso rosso, contrapposto al clown Bianco, quello elegante che spesso suona la tromba – non abbia nel proprio vocabolario la parola “No”. E come, proprio grazie alla sua disponibilità ad accogliere, gli capiti di infilarsi nelle peripezie più improbabili e comiche. Per uscirne peraltro sempre sorprendentemente bene. È un personaggio, l’Augusto, immediatamente simpatico: chiama un sorriso benevolente, ci si identifica con la sua ingenuità e il suo candore, si sa che si metterà nei guai e si aspetta di capire come farà a districarsi dalle difficoltà in cui si è cacciato.

Improvvisare sul palcoscenico e poter dire solo “sì” implica fare i conti un po’ con quello che – in gergo – si chiama il capitolareCi si arrende, si lascia che ci capiti quello che la sorte, la situazione, le relazioni portano con sé. E ci si affida alla propria capacità (o incapacità) di reagire in modo costruttivo, arrangiandosi alla meglio con le proprie risorse.
E che succede? Succede che, capitolando, uno si affida a quello che “è” nel momento, anziché, ad esempio, a quello che “ha” o “sa”. Emergono la presenza, la capacità di utilizzare le proprie risorse, la relazione che ciascuno ha con se stesso.

È affascinante raccogliere i mille modi di reagire delle persone rispetto alla necessità. 
L’istinto di ribellarsi, di opporre un “no” a quello che è diverso dalle proprie aspettative, è spesso fortissimo. È come se ci fosse una necessità di proteggersi, per non sentirsi in balia di altri o del vento della sorte. Ed è strabiliante la creatività nel cercare di mostrare che, dopo tutto, si è detto solo un «sì, ma…» e non un vero «no». Come ovvio, darsi un limite scatena la ricerca di libertà. L’attore in scena si inventa di tutto pur di non cedere il controllo della situazione: dal parlare più in fretta all’obbiettare che «assolutamente, io mai detto no!», con le mille declinazioni in cui si tenta di manipolare gli altri personaggi ed attori per conservare un possibile qualche recupero.
Di fatto, poter solo dire “sì” porta con sé un’ammissione di umanità e di finitezza, toglie le maschere delle mille piccole furbizie e lascia in balia a sensazioni che in pubblico sono poco frequenti da testimoniare. E che, proprio per questo, diventano magnetiche per il pubblico, che si connette immediatamente con l’impotenza dell’attore. Quante volte ogni giorno ci si sente piccoli ed in difficoltà nel reagire ad eventi, procedure, regole, abitudini, automatismi semplicemente più grandi di noi? Come non sentirsi piccoli di fronte a tutto questo?

Nei diversi stili di improvvisazione si danno accenti diversi al “dire sì”. Keith Johnstone – il guru inglese delle gare di improvvisazione -, ad esempio, ne fa quasi un comandamento. 
E d’altra parte è comprensibile. Noi tutti sappiamo che nelle relazioni un “no” blocca, chiude una storia, mette gli attori nelle condizioni di dover ripartire da un qualche altrove.
Nella mia esperienza arriva viceversa un momento in cui il “no” riguadagna la scena, è una scelta possibile. È l’attore stesso che se ne rende conto quando il suo “no” diventa un ponte, in genere verso una scena da solista, in cui si dà spazio al mondo invisibile che è dentro ciascuno di noi: le ragioni, i sentire, i desideri, le frustrazioni… I pensieri che spiegano i comportamenti.

La ludoscuola (Insegnanti)

L’intento del laboratorio è di formare insegnanti attenti a quelli che sono i processi di apprendimento che all’interno di un percorso di gioco si attivano consentendo così agli alunni di conoscere e sperimentare situazioni, oggetti e temi di studio anche attraverso errori e nuovi tentativi.

Giocando si impara a conoscere il nostro corpo e a muoversi nello spazio, si esplora il mondo, si scoprono gli oggetti, il loro uso quotidiano e il loro uso improbabile, si impara a relazionarsi con gli altri, si superano ostacoli fisici in modo personale e graduale.

Attraverso l’utilizzo di tecniche partecipative che garantiscono l’espressione di ciascuno dei discenti, l’idea è di orientare l’attività con insegnanti e ragazzi alla sperimentazione, ideazione ed elaborazione di giochi che, oltre ad avere una valenza ludico-espressiva, consentano l’approfondimento di argomenti e tematiche funzionali al percorso didattico.

Tale percorso offrirà agli insegnanti elementi di facilitazione, opportunità di valorizzazione delle esperienze didattiche e creerà la premessa per la costruzione di una banca dati da archiviare in rete che, progressivamente, si arricchirà di elaborazioni su argomenti dei programmi didattici calibrate sull’età dei ragazzi.

A cura di Lorenzo Bocchese.

Teatralia (Scuola Primaria)

Si tratta di un laboratorio ludico-teatrale: l’idea è di partire dal gioco e dall’espressione corporea e, attraverso il racconto e l’ascolto, dare uno sviluppo narrativo alle attività ludiche, di modo che i bambini possano giocare in sintonia alla realizzazione di un progetto espressivo d’insieme che li raccolga tutti.
Il gioco teatrale della messinscena dovrebbe costituire il traguardo naturale del progetto e cercherà di mettere assieme il contributo di ciascun gruppo di bambini.
L’educazione del bambino sarà ad essere sia attore che pubblico, pur rimanendo nell’ambito ludico e coinvolgerà gli adulti di riferimento (insegnanti, genitori etc.).

A cura di Lorenzo Bocchese.

Pierino e il lupo (Scuola Primaria e Media Inferiore)

Due piccioni con una fava: l’idea è di realizzare una mostra/spettacolo che avrà come oggetto la fiaba musicata da Sergej Prokof’ev in collaborazione con l’insegnante d’arte che coordinerà, all’interno della classe coinvolta, la realizzazione di X tavole che vorranno illustrare la fiaba.

Con la classe si identificheranno le tavole da disegnare, idealmente da gruppi di 3-4 bambini, che dovrebbero concordare (progettazione partecipata) come mettere assieme gli elementi che devono essere presenti in ciascuna tavola e poi realizzarla insieme. L’utilizzo di tecniche diverse consentirebbe ai ragazzi di misurarsi con possibilità espressive alternative.

Dal lavoro finale nascerà una mostra che illustra una storia da condividere con il resto della scuola e i genitori. L’evento che la introdurrà sarà la lettura animata della fiaba con la colonna sonora di Prokof’ev a cura della classe che ha lavorato.

A cura di Lorenzo Bocchese