La lettura ad alta voce

Leggere è per antonomasia un’attività personalissima, che ciascuno fa dove e quando gli pare, legata alla disponibilità di un testo su un supporto di qualche tipo – adesso ci sono gli ebooks, i telefonini o i tablets… – e la voglia o il bisogno di evadere dal contesto fisico concentrandosi su altro. C’è chi lo vive come la possibilità di stare con se stessi, staccando dalla quotidianità.
A partire da questo, l’attore con che approccio affronta il testo scritto, che ne vuole fare?

Si legge a voce alta per altri, per qualcuno che ascolta, a cui si cerca di passare il sapore che trasuda dalla pagina, al di là del senso del testo.
Una cosa è, infatti, capire quello che c’è scritto, un’altra cosa è trasmetterlo a chi ascolta e non può eventualmente fermarsi, rileggere, riflettere…

Leggere a voce alta significa riconoscere che nel testo ci sono parole, espressioni, intenzioni che possono essere passate o sottolineate con un cambio di ritmo o di tono, con i silenzi, perfino con uno sguardo a chi ascolta, a costruire e consolidare una relazione con il testo.
Il Lettore si prende la responsabilità di costruire un ambiente attorno alle parole. Emozioni. Intenzioni. Pause… È una vera e propria complicità che si costruisce con l’ascoltatore, un cieco che viene condotto per mano a visitare mondi fatti di parole.

Ma noi tutti sappiamo che i mondi – concreti o onirici – sono fatti d’altro.
Le parole altro non sono che un codice, il cui significato non è detto sia sempre scontato per tutti.
È lì, in questo spazio di interpretazione che si inserisce il Lettore, che, con la propria espressione, trasmette il senso che ha compreso.
Per questo, la lettura ad alta voce è un atto di mediazione, è una traduzione che, fatalmente, rimanda a tutti gli attori coinvolti: chi scrive, chi legge, chi ascolta.

Capita di leggere testi che sono solipsistici.
L’autore si specchia nei suoi scritti, si compiace di sé, si tratti di idee, immagini o formule espressive. E si preoccupa solo in parte – se si preoccupa – di chi legge/ascolta.
«Che vuol dire?», ogni tanto chi legge è costretto a chiedersi. 
Quando è così, le letture a voce alta diventano faticose, serve uno sforzo per semplificare, rendere esplicito il senso, o – al contrario – mascherare il solipsismo dell’autore.

All’altro estremo, capita di ascoltare il lettore che si bea della propria abilità, che usa il testo per esibire la propria tecnica, scordando che nella lettura si è semplici strumenti di trasmissione. 
D’altra parte, non è facile. Tra interpretazione ed esibizione ci sono spesso confini sottili, che si impara a conoscere attraversandoli, sbagliando e correggendo.

La parola scritta trasforma tutti in pubblico, compresi gli attori che vogliono misurarsi con la sua lettura ad alta voce.
Se immagino la relazione tra Autore e Lettore come una linea che li connette, conviene tenere il Pubblico come fulcro centrale. Come se fosse un filtro a cui offrire riconoscimento, la cui mera presenza cambia e contribuisce al sapore di tutto.

Fare un regalo al pubblico sarà un’immagine funzionale sia all’uno che all’altro.
L’Autore regalerà le proprie parole, il Lettore la propria interpretazione delle stesse, in un gioco virtuoso in cui ciascuno ha la relazione con qualcuno fuori da sé come fuoco di attenzione.
E la generosità come moneta di scambio.

🙂