La linea
Che stranezza.
Mi ritrovo a considerare un argomento che affascina l’umanità da sempre… E scopro che una serie di simboli, che fanno parte del mio bagaglio fin da bambino non hanno più senso.
Tic tac… tic tac… tic tac…
Ma lo capirebbero i ragazzi a cosa alludo? Gli orologi meccanici che fanno quel suono sono sempre più rari, sicuramente quelli da portare al polso tendono ad essere a batteria, a contare quanti passi uno fa, a scaricare le mail e danno la possibilità di scegliere tra tanti quadranti diversi…
E gli orologi da parete fanno tac… tac… tac…, il suono che fa muovere la lancetta è sempre uguale.
Eppure quel tic tac era proverbiale, tempus fugit, il tempo scappa via.
E non ritorna più.
Il cerchio
E invece.
A parlare del Tempo ha proprio senso partire da qua. Perché non è vero per niente che il Tempo non torna. Tornano le stagioni, tornano i mesi, i giorni della settimana, perfino le ore di ogni giornata. Ogni giorno il sole sorge ad est e tramonta ad ovest… E poco serve fare ragionamenti che implicano conoscenze scientifiche e cosmologiche: per l’umanità è sempre stato rassicurante – oppure opprimente, dipende… – che ci sia un tempo che si ripete indefinitamente.
Le meridiane, che misuravano il tempo grazie alla danza di un’ombra proiettata lo raccontano.
Ma perfino gli orologi – quelli con il quadrante con le lancette… – dicono che oggi, come ieri, c’è stato un momento in cui erano le 10:30. Come, d’altra parte, sarà anche domani.
È come se il tempo si rinnovasse.
E il viverlo in questa maniera è profondamente diverso rispetto a che il tempo si consumi.
Il Tempo e l’umanità
Per l’uomo della strada oggi la misura del tempo è legata al cellulare. Anzi, nemmeno a quello, perché tutti i cellulari raccontano esattamente lo stesso istante, senza fallo, essendo connessi via internet ad una fonte che è la stessa per tutti, un time server, come lo si chiama adesso, che utilizza un protocollo NTP – cosiddetto tale, verificare qui, please: https://it.wikipedia.org/wiki/Network_Time_Protocol –, identico per tutti. Cioè: viviamo tutti uno stesso tempo. Che sembrerebbe un pleonasma da affermare – ovvio che sia così… –.
E invece no.
Che il tempo sia vissuto come lineare o circolare è in mano a ciascuno, che, magari inconsapevolmente, si muove nel tempo in base a ben altro che sia quello che la scienza racconta o ci vorrebbe persuadere a vivere. La percezione del Tempo non solo è diversa da persona a persona, ma da momento a momento.
A che serve dirsi che un’ora è un’ora per tutti se invece c’è chi il Tempo lo soffre, chi ne viene a patti, chi lo programma, chi se lo dimentica…
E la convinzione di poterlo in qualche modo controllare naufraga di fronte alla diversità dei vissuti possibili.
Se c’è una cosa che si capisce è che il tempo lineare è una risorsa che, resto o tardim tutti riconosciamo scarsa.
Il Tempo circolare no: è semplicemente fuori dalla portata, appartiene a dimensioni sovrumane.
Il mio tempo, i miei tempi
Il mio tempo lo so io come lo vivo.
Che cosa lo rende fecondo.
Quanto mi serve per perdermi nei miei sogni ad occhi aperti.
Che cosa lo rende ben speso.
Che Tempo torni a trovarmi e che cosa invece svanisca nell’attimo in cui lo vedo.
Qual è il tempo che ricordo di più e quale, viceversa, scivola via anonimo, incapace di restare nei ricordi.
E come il mio Tempo abbia questa straordinaria capacità di viaggiare a velocità diverse, a seconda di…
Già, a seconda di che?
C'è tempo
E uno che hai voglia ad aspettare
Un tempo sognato che viene di notte
E un altro di giorno teso
Come un lino a sventolare
Un tempo distante che è roba degli altri
Un momento che era meglio partire
E quella volta che noi due era meglio parlarci
Guardare il passaggio del sole d’estate
E saper raccontare ai nostri bambini quando
È l’ora muta delle fate
Come smarrire un anello in un prato
E c’era tutto un programma futuro
Che non abbiamo avverato
Che prima o poi ci riprende
Perché c’è tempo, c’è tempo c’è tempo, c’è tempo
Per questo mare infinito di gente
E da un anno non torno
Da mezz’ora sono qui arruffato
Dentro una sala d’aspetto
Di un tram che non viene
Non essere gelosa di me
Della mia vita
Non essere gelosa di me
Non essere mai gelosa di me
Qualcosa di buono che verrà
Un attimo fotografato, dipinto, segnato
E quello dopo perduto via
Senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata
La sua fotografia
Una stagione ribelle
L’istante in cui scocca l’unica freccia
Che arriva alla volta celeste
E trafigge le stelle
È un giorno che tutta la gente
Si tende la mano
È il medesimo istante per tutti
Che sarà benedetto, io credo
Da molto lontano
È il tempo che è finalmente
O quando ci si capisce
Un tempo in cui mi vedrai
Accanto a te nuovamente
Mano alla mano
Che buffi saremo
Se non ci avranno nemmeno
Avvisato
E uno più lungo per aspettare
Io dico che c’era un tempo sognato
Che bisognava sognare
Per saperne di più de Il filo nel labirinto: CLICCA QUI.
Per iscriversi alla newsletter teatrale: email a lorenzo@teatrodelmatto.it.